Il Principe Filippo, duca di Edimburgo, prima di sposare la Regina Elisabetta, rinunciò ai propri titoli ed adottò il cognome Mountbatten. Ebbene, plebeo fino al midollo, grossolano se vogliamo, ma coerente, il sottoscritto (quasi) mai rinuncerebbe alla propria dignità per tre azioni: seguire in tv una partita dell’Argentina (tranne che contro il mio Brasile), guardare un film di Krzysztof Kieslowski (a meno di minaccia fisica contro la mia famiglia), arbitrare un qualsivoglia incontro di Football (se non garantendo che nessun pazzo a piede libero possa dare fuoco alla mia moto). La terza opzione in realtà è la più certa. Giudice di gara, giacchetta nera, mai. Intendiamoci, lungi da me la critica e il disprezzo per la categoria. Anzi, ammiro con tutto me stesso quei giovani pionieri che decidono di dar corso all’avventura dell’arbitraggio. Insidie come se piovesse, lusinghe… beh, si contano sulle dita di una mano, vantaggi, a parere mio, uno solo, accesso gratuito allo stadio. Sosterrò la mia tesi con tutte le forze, sono eroi. Già. I gladiatori veri, incuranti delle tempeste verbali e, a volte, fisiche, che piombano loro tra capo e collo, sono proprio gli arbitri. Ma ci pensate? Domenica ti porterò sul lago, recita una popolare canzone. Sul lago? Bella mia, mettiti il cuore in pace… Domenica l’infelice sarà protagonista nell’arena, dovrà domare 22 torelli, gli uni invasati, gli altri in trance agonistica, oltre a selezionare gli insulti provenienti dagli spalti, conditi, spesso, da variegati liquidi di dubbia provenienza. Eccoli i minatori dello sport. Elmetto con la pila, e via verso i più reconditi anfratti della mente umana. Non sarei mai in grado di resistere. Impossibile mostrare indifferenza. Essi vivono. Sono alieni. Solo un organismo geneticamente modificato tollera epiteti lanciati da umani che a malapena conoscono l’uso del congiuntivo e delle consonanti, incivili che nulla hanno a che spartire con la tua vita eppure considerano la tua famiglia un bordello a cielo aperto. Santi ed eroi. Ecco cosa sono gli arbitri. Anche volendo, durerei lo spazio di un respiro. Al primo vaffa mi scaglierei oltre la transenna ad imitazione dell’idolo Eric Cantona del Manchester United, che come il possente eroe omerico Aiace Telamonio, piombò sull’ennesimo idiota insultante stendendolo con un calcione ben assestato. Lo condannarono a sei mesi di servizi socialmente utili. Il primo lo aveva già compiuto, liberarsi di un cialtrone a pedate. Il sogno proibito di ogni arbitro… Al prossimo mercoledi, amici!

Marco Caccianiga